Ma sei spastico? zzo vuoi!!!

 AUTORE: Flora Iannaci

di questo termine. Per non sbagliare nel riferirvelo, chiamerò in mio soccorso l’intramontabile e validissimo Dizionario Treccani il quale, a riguardo, riporta quanto segue:

spastico /’spastiko/ [dal gr. spastikós, affine a spasmós “spasmo”] (pl. m. -ci). – ■ agg. 1. (med.) [che è affetto da paralisi spastica] ≈ ⇑ paralitico. 2. (med.) [che è provocato o caratterizzato da spasmo: un movimento s.] ≈ spasmodico. ■ s. m. (f. -a) [persona spastica] ≈ ⇑ paralitico.

Esso indica, infatti, l’essere soggetto a spasmi, (movimenti muscolari incontrollati ed involontari, più o meno frequenti). L’aggettivo può accompagnare diverse patologie mediche, identificandole; (tra le più comuni – per esempio – la colite spastica, altrimenti nota come sindrome del colon irritabile; che può colpire l’intestino di molte persone, senza per questo causarne la stupidità. Altrettanto spesso – fa opportunamente notare Treccani -, in medicina il sudetto aggettivo si associa a molte tipologie di paralisi cerebrale, per indicare quando, in concomitanza ad essa, chi ne è stato colpito si trova anche a dover convivere con dei tremori più o meno evidenti e più o meno diffusi; gli spasmi, appunto. Insomma, come avrete certamente capito, il termine non è quindi una parola appartenente al gergo giovanile odierno, da pronunciare in ogni occasione perché “fa figo”, bensì appartiene al linguaggio medico ed è usato per far riferimento ad una specifica condizione fisica.
In particolare, tenendo a mente quest’ultimo contesto d’utilizzo, che relaziona la parola al mondo della disabilità, potremmo concedere ai giovani avvezzi ad usare tale termine a scopo offensivo la seguente attenuante: è comprensibile che molti di loro – succede a noi adulti per primi – non sempre siano particolarmente attenti all’utilizzo dei cosiddetti termini “politically correct” riguardanti il mondo della disabilità e questo non è affatto un dramma, in quanto sono molte le persone con disabilità che si dicono convinte della poca importanza di queste accortezze, se non accompagnate dai fatti, ben più importanti per favorirne l’inclusione e migliorarne la qualità della vita.Tuttavia, un interrogativo mi preme da anni: se non insegniamo oggi ai nostri giovani che spastico, down, handicappato non sono offese ma condizioni delle quali chi le vive non deve assolutamente provare vergogna, come possiamo aspettarci che gli adulti di domani facciano importanti passi avanti per quanto riguarda inclusione e solidarietà? Come possiamo pretendere che si avvicinino a persone che si autodefiniscono attraverso quelle parole che sono cresciuti credendo fossero espressioni d’incapacità e negatività? Quindi, insegnate sin da adesso ai vostri figli, ma anche a voi stessi, a non aver paura di dedicare a chiunque le meriti, espressioni più colorite ed appropriate, senza paragonarli grossolanamente ad individui normalissimi che, a dispetto delle loro condizioni fisiche, nella vita sono spesso più corretti, svegli e capaci di moltissimi altri. Si tratterà di una piccola rivoluzione, che potrebbe provocare grandi effetti.